"Desiderio", "desiderio": stasera tutti parlano di desiderio. Mi hanno chiamato qui, mi hanno detto "parla di quelli che sono i desideri di un viaggiatore". Ebbene, dirò qualcosa di impopolare: ma a me, la parola desiderio proprio non piace, mi viene l'orticaria; non mi piace, non la sopporto, è una parola che uso molto raramente, perché - che vuol dire? De-sidera, lontano dalle stelle. Non mi piace; è un problema mio, probabilmente è semplicemente un problema semantico, legato alla parola stessa. Non mi piace perché - immaginate: tutti, da piccoli, abbiamo letto la favola di Aladino. Aladino trova questa lampada, la pulisce, la strofina; appare il genio - che, almeno dai miei coetanei in poi, tutti ricordiamo con la voce di Gigi Proietti - appare questo genio e dice: "Puoi esprimere tre desideri". Ma perché? Ma come, sei il genio e puoi fare esprimere tutti i desideri che vuoi! No, solo tre, solo tre desideri! Io mi chiamo Lorenzo, chiaramente al mio onomastico è legata la notte di San Lorenzo. Ho passato gli anni con tutti gli amici che mi telefonavano, mi facevano gli auguri e dicevano "E quali desideri esprimerai stasera, guardando le stelle?" E andavi lì con gli amici, stavi, ti veniva il torcicollo a guardare le stelle e niente, poi magari abbassavi la testa e sentivi "Ecco: l'ho vista, l'ho vista!" E la prima domanda che sentivi era: "Hai espresso il desiderio?" E poi arriva il compleanno e ti dicono: "Soffia sulle candeline, esprimi il desiderio". Ma perché? Perché devo esprimere tre desideri? Perché devo aspettare un anno, per le stelle cadenti? Devo soffiare su queste candeline e aspettare che un deus ex machina, qualcuno dall'alto realizzi il mio desiderio? Chiariamo, non ho nulla contro i desideri. E allora uno dice: "Vabbè, ma tu non hai qualcosa?" Sì probabilmente dentro di me ho dei desideri, ma quello che sta dentro di me non lo voglio chiamare desiderio, io lo chiamo sogno. Sogno ad occhi aperti, sono un grandissimo sognatore. Il sogno è qualcosa che si muove dentro, ti cresce dentro; il sogno è qualcosa che cerchi di realizzare tu: cioè proprio nella forma, no? Vorrei realizzare un sogno, oppure esprimo desiderio: sono due cose distaccate. E allora, io preferisco chiamarlo sogno. Il sogno è qualcosa che - che so un giorno, la mattina di dicembre, stai bevendo un caffè, guardi fuori dalla finestra, c'è un raggio di luce su un albero, hai un'intuizione, qualcosa che si inizia a muovere dentro; e poi, la cosa ti dà il la per iniziare ad anelare qualcosa, a voler raggiungere qualcosa. L'intuizione è un sogno che già in quel momento vuole prendere forma. Io sono un grande sognatore; sono un viaggiatore, ma sono un sognatore, per me le cose corrispondono. Io sogno leggendo libri, guardo le fotografie e sogno; le mappe - le mappe sono delle fucine: apro una mappa, e si apre il vaso di Pandora; e sogno guardando le curve altimetriche, le anse dei fiumi, sogno guardando i nomi dei villaggi lontani. Avete mai provato a leggere i nomi dei villaggi della Polonia? Ci sono stato in un sacco di villaggi, e sogni di andare a vedere questi villaggi perché se sei un viaggiatore è facile andare a Parigi. Vai in quel villaggio, vai a vedere se gli anziani in piazza si riuniscono e dicono le stesse cose che dicono a Putignano. Essenzialmente, sì: Io mi definisco un ulisside, della genia degli ulissidi, e vago fra i miei sogni, vado verso i miei sogni perché la vedo come un'azione proattiva: considerarsi un viaggiatore significa, pure metaforicamente, pure quando sei fermo, andare verso qualcosa; non aspettare il compleanno, le candeline, la notte di San Lorenzo, il genio della lampada. E seguendo questo modo di fare, ho realizzato molti sogni. Io ho realizzato, non il genio della lampada - che se mi dite dove sta, io lo vado pure a cercare! Come ho fatto? Con i miei due motori principali: la curiosità - sono curiosissimo, sono curioso come una scimmia, come un branco di scimmie, leggo qualunque cosa; e la volontà: come si dice qui da noi, ho la capa tosta. Perché questo? Perché io ho sempre pensato che uno deve essere artefice del proprio destino, deve essere artefice della realizzazione dei propri sogni. Non puoi aspettare altri fattori esterni: il tempo passa, e le candeline si spengono. Perché viviamo, essenzialmente, in una società che già decide quello che dobbiamo essere, no? Abbiamo le etichette, tutti i giorni: uno è piccolo, va a scuola e quello è "studente"; si sta per laureare, ed è "laureando"; ti laurei e sei "un giovane brillante che sta entrando nel mondo del lavoro" - quest'etichetta lunghissima, troppo lunga - poi, nel mio caso, presi il tesserino da giornalista: "Buongiorno: dottor Scaraggi, giornalista"; facevo il fotografo ed ero Lorenzo il fotografo, Lorenzo il videomaker, il regista. Certo, sono tutte cose che mi appartengono: lavoro, faccio il reporter, giro documentari; ma mi danno fastidio, queste etichette. Pensate che io non so nemmeno - ogni volta che finisco i biglietti da visita, e preparo il file da mandare al tipografo - non so cosa devo mettere come qualifica. Perché? Perché essenzialmente, io a 46 anni non so trovare un'etichetta da attribuirmi: cioè io sono l'evoluzione di tutto quello che ho vissuto, io sono solo l'incarnazione organica dei miei sogni. Io sono un viaggiatore, mi considero un viaggiatore; perché era il mio sogno, essere viaggiatore - anche perché, considerate: la cosa bella dell'essere viaggiatore è che la tua forma mentis ragiona sempre nell'ottica del viaggio, che poi è quello che accade nella vita di tutti i giorni, no? È solo che io faccio il figo, che faccio il viaggiatore, e dico "leggo sta roba da viaggiatore": però quando uno viaggia, incontra gente tutti i giorni, impara lingue diverse, tutti i giorni viene investito da colori bellissimi. Poi è chiaro, ci sono gli inconvenienti: però fanno parte del viaggio. È un'attitudine, quella di vivere così: che non è un vivere alla giornata, è un essere pronto. E questo faceva parte del mio sogno, e io l'ho sempre sognato, questo. Pensate: da piccolo, alla scuola materna - mi raccontano, io ho dei vaghi ricordi - avevo tre anni, fui assente qualche giorno, torno a scuola e le maestre: "Ah Lorenzo, cosa hai fatto? " "Sono andato a Venezia, ho visto il Canal Grande e ho visto le gondole.". Non era vero niente, zero! (Risate) Infatti, le maestre dissero a mia madre: "ma come, lui -" E lei "Boh, nostro figlio non è normale!" A dieci anni io vivevo a Bitonto, sono bitontino; il mio sogno, a 10 anni, era andare a vedere il mare a Giovinazzo. Però considerate che otto chilometri, per un bambino, sono tanti. Presi la bicicletta: era estate, luglio / agosto, quando mia madre dormiva, come si dice da noi, alla "controra" mi misi sulla bicicletta, e andai a Giovinazzo. Fu un'impresa epica, perché attraversai questo mare di ulivi, arrivai a Giovinazzo, guardai il mare e tornai indietro. Volevo vedere il mare. Mia madre non lo ho mai saputo, altrimenti... O per esempio, da studente, da buon studente, ero sempre senza soldi. Volevo vedere le maree di Mont San Michel: sono andato in autostop. Lo sognavo, proprio:, e sono andato in autostop. O quando ho fatto il giro del Peloponneso in bicicletta, che pure lì ebbi la felicissima idea di partire ad agosto, stavano 48 gradi in Peloponneso, ho portato l'abbronzatura per tre anni - l'abbronzatura dei pantaloncini del Peloponneso - oppure, dopo laureato, avevo letto Hemingway, avevo studiato storia, volevo fare il reporter di guerra. Chiaramente cosa ho fatto? Sono partito per la guerra, per i posti di guerra, sono stato come reporter in molti posti di guerra. Pensate: mio padre mi telefonava, diceva: "Lorè, ma sento una voce araba al cellulare, ma cos'è?!" "No papà, è russo, sto a Mosca per un viaggio". Perché io continuavo a sognare di essere viaggiatore, e la summa di tutto questo è che a un certo punto ho detto, dieci anni fa: "Cosa vuoi fare? Voglio fare il viaggiatore". Cosa sai fare? Io so raccontare, so fotografare, so viaggiare. Mi compro un camper dell'82, inizio a viaggiare: diventerà il mio lavoro. E la gente diceva: "Vabbè, chi è che non lo vorrebbe fare?" "E fallo!". Tutti lo possiamo fare, in questo momento: possiamo farlo, questo. Tutti, siamo liberi di farlo. Lanciai una raccolta fondi perché volevo fare il giro d'Europa. Io dicevo alla gente: "Guardate che io sto condividendo un sogno, io condivido il mio sogno con voi" E la gente mi ha supportato, ha pagato il mio viaggio perché la gente rifletteva su di me i sogni. Quindi io, oltre a essere il mio sogno, ero anche il sogno degli altri - non sono megalomane, eh. Avete capito, insomma. E ho fatto questo giro d'Europa. Tra l'altro, in tutte le cose che poi comporta - perché c'è un effetto domino - grazie al giro d'Europa ho conosciuto mia moglie, Valentina: Ed è stato un viaggio straordinario, ho fatto il periplo dei 20.000 km a 70 chilometri orari. Non prendevo neanche l'autostrada, tanto era inutile pagare l'autostrada per arrivare prima, perché non arrivavi prima. E sempre ho guidato tenendo il mare sulla mia sinistra, questa costante del mare. Baudelaire diceva "Uomo libero, sempre amerai il mare". È stato un viaggio straordinario, e io mi dissi: il vostok - tutto questo un giorno sarà, deve essere il mio lavoro. Chiaro, i detrattori "Va be, sì sì". Va beh, fallo tu! Che poi, immaginate, "Vostock 100k" come la navicella spaziale di Yuri Gagarin, quindi io non mi allontanavo, non de-sideravo ma ad-sideravo: come dire, andavo verso le stelle - ed è arrivato il momento in cui questo è diventato il mio lavoro, mi pagano per realizzare i miei sogni: detto accorciando, chiaramente, però mi pagano per realizzare i miei sogni. Qualcuno dice: "E vabbè, e i rischi?" E i rischi, chiaro che ci sono i rischi. Ma se, da ulisside, non ti fai legare a quell'albero maestro, non potrai mai stare qui a raccontare com'è il canto delle sirene: se non corri rischi, le cose non accadono, se non ti metti in viaggio le cose non accadono. Allora mi dicono: ma non hai paura? Certo che ho paura, la paura è il motore del coraggio. Però, a parte il fatto che quando vado nei posti io sono sempre stato accolto bene, perché in ogni cultura il viaggiatore o il sognatore era sacro, io direi che c'è da avere paura di me che sono lo straniero, quello che è l'elemento esterno. Invece vengo accolto dappertutto, perché probabilmente la gente ama i sogni: e allora, a questo punto, circa la paura io chiedo sempre alla gente: "Ok, io non ho paura: ma tu non hai paura della routine, della comfort zone, paura di darti degli alibi, paura di aspettare il genio della lampada, paura di aspettare il compleanno, paura di aspettare le stelle cadenti?" Quella è la vera paura: io ho paura di non sognare più. Ho paura, un giorno, di guardare fuori dalla finestra, come dicevo prima, e non sognare; ho paura di non desiderare più di andare in quei posti dal nome impronunciabile. Ma vale la pena correre il rischio: perché essere il proprio sogno, essere il mio sogno, è sempre stata la mia priorità, il sogno che dovevo realizzare. E il mio sogno ha preso il mio corpo - perché non era il mio corpo, che portava il sogno - e lo ha portato, che ne so a vedere le nuvole danzanti sull'altopiano anatolico, lungo la Via della Seta. O questo corpo ha sentito il vento del Polo Nord, sulle falesie in Norvegia. Tutto parte dai sogni, dall'essere il proprio sogno. Il sogno che ha portato il mio corpo in giro, e lì diventi tu il tuo sogno. Ecco perché io non desidero: io sogno. Io ho scelto di essere un viaggiatore, ho scelto di essere un sognatore, ho scelto di essere il mio sogno. Il mio sogno sono io. Grazie. (Applausi)