Who am I? Who is anyone, really?
Chi sono io? Chi è chiunque, alla fine?
When I wake up in the morning and open my eyes, a world appears. These days, since I've hardly been anywhere, it's a very familiar world: there's the wardrobe beyond the end of the bed, the shuttered windows and the shrieking of seagulls, which drives Brighton residents like me absolutely crazy. But even more familiar is the experience of being a self, of being me, that glides into existence at almost the same time.
Quando mi sveglio al mattino e apro gli occhi, un mondo appare. Ultimamente, dato che quasi non mi sono mosso, è un mondo molto familiare: c’è il guardaroba dopo la fine del letto, le finestre chiuse e il cigolio dei gabbiani, che fa diventare i residenti di Brighton come me assolutamente pazzi. Ma ancor più familiare è l’esperienza di essere un individuo, di essere me, che scivola nell’esistenza quasi nello stesso momento.
Now this experience of selfhood is so mundane that its appearance, usually, just happens without us noticing at all. We take our selves for granted, but we shouldn't. How things seem is not how they are. For most of us, most of the time, it seems as though the self, your self, is an enduring and unified entity -- in essence, a unique identity. Perhaps it seems as though the self is the recipient of wave upon wave of perceptions, as if the world just pours itself into the mind through the transparent windows of the senses. Perhaps it seems as though the self is the decision-maker in chief, deciding what to do next and then doing it, or, as the case may be, doing something else. We sense, we think and we act. This is how things seem.
Ora, l’esperienza di individualità è così mondana che la sua apparenza, di solito, succede senza che noi lo notiamo. Prendiamo noi stessi per scontati, ma non dovremmo. Le cose non sono come sembrano. Per molti di noi, solitamente, è come se l’individuo, te stesso, sia un’entità duratura e unificata - in sostanza, un’identità unica. Forse sembra che l’individuo sia il recipiente di onda dopo onda di percezioni, come se il mondo versasse se stesso dentro la mente attraverso le finestre trasparenti dei sensi. Forse sembra che l’individuo sia il dirigente delle decisioni, decidendo la prossima cosa da fare e poi facendola, o, in caso, facendo qualcos’altro. Noi percepiamo, pensiamo e agiamo. È così che le cose sembrano essere.
How things are is very different, and the story of how and why this is so is what I want to give you a flavor of today. In this story, the self is not the thing that does the perceiving. The self is a perception too, or rather, it's the collection of related perceptions. Experiences of the self and of the world turn out to be kinds of controlled hallucinations, brain-based best guesses that remain tied to the world and the body in ways determined not by their accuracy, but by their utility, by their usefulness for the organism in the business of staying alive.
Come le cose sono è un altro discorso, e la storia di come e perché è così è ciò di cui oggi ti voglio dare un assaggio. In questa storia, l’individuo non è la cosa che agisce in percezione. Pure il senso di sé è una percezione, o meglio, è la collezione di percezioni correlate. Esperienze dell’individuo e del mondo diventano una sorta di allucinazioni controllate, congetture fatte dalla mente che rimangono correlate al mondo e al corpo non in base alla loro accuratezza, ma alla loro utilità, a quanto sono utili all’organismo nell’attività di restare vivi.
Now the basic idea is quite simple, and it goes back a very long way in both science and philosophy -- all the way back, in fact, to Plato and to the shadows cast by firelight on the walls of a cave, shadows which the prisoners within took to be the real world.
Ora l’idea di base è abbastanza semplice, e ha molta storia dietro sia nella scienza che nella filosofia fino, in effetti, a Platone e alle ombre proiettate dalla luce del fuoco nei muri di una caverna, ombre che i prigionieri credevano essere il vero mondo.
Raw sensory signals, the electromagnetic waves that impinge upon our retinas, the pressure waves that assault our eardrums, and so on, well, they're always ambiguous and uncertain. Although they reflect really existing things in the world, they do so only indirectly. The eyes are not transparent windows from a self out onto a world, nor are the ears, nor are any of our senses. The perceptual world that arises for us in each conscious moment -- a world full of objects and people, with properties like shape, color and position -- is always and everywhere created by the brain, through a process of what we can call “inference,” of under-the-hood, neurally implemented brain-based best guessing.
Segnali sensoriali grezzi, le onde elettromagnetiche che incidono sulle nostre retine, le onde di pressione che assaltano i nostri timpani, e così via, beh, sono sempre state cose ambigue e incerte. Nonostante riflettano cose davvero esistenti nel mondo, lo fanno solo indirettamente. Gli occhi non sono finestre trasparenti da un individuo verso un mondo, né lo sono le orecchie, ne lo sono nessuno dei nostri sensi. Il mondo percettivo che emerge per noi in ogni momento cosciente - un mondo pieno di oggetti e persone, con proprietà come forma, colore e posizione - è sempre e ovunque creato dal cervello, attraverso un processo che possiamo chiamare “inferenza”, di congetture basate sulla mente, soggiacenti, implementate neuralmente.
Now ... Here's a red coffee cup. When I see this red coffee cup, when I consciously see it, that's because "red coffee cup" is my brain's best guess of the hidden and ultimately unknowable sensory signals that reach my eyes. And just think about the redness itself, for a moment. Does the color red exist in the world? No, it doesn't. And we don't need neuroscience to tell us this. Newton discovered long ago that all the colors we experience, the rainbow of the visible spectrum, are based on just a few wavelengths of electromagnetic radiation, which itself is, of course, entirely colorless. For us humans, a whole universe of color is generated from just three of these wavelengths, corresponding to the three types of cells in our retinas. Color-wise, this thin slice of reality, this is where we live. Our experience of color -- indeed, our experience of anything -- is both less than and more than whatever the real world really is.
Ora... Abbiamo una tazza da caffè rossa. Quando vedo questa tazza rossa, quando la vedo coscientemente, è perché “tazza da caffè rossa” è la migliore ipotesi della mia mente dei segnali sensoriali nascosti e inconoscibili che raggiungono gli occhi. Pensate per un momento anche solo allo stesso rossore. Il colore rosso esiste nel mondo? No, non esiste. E qui non c’entrano le neuroscienze. Newton scoprì molto tempo fa che tutti i colori che sperimentiamo, l’arcobaleno dello spettro visibile, sono basati su una serie limitata di onde di radiazioni elettromagnetiche, che di loro sono, ovviamente, del tutto prive di colore. Per noi umani, un intero universo di colore è generato da solo tre di queste onde, corrispondenti ai tre tipi di celle nelle nostre retine. A livello di colore, questa piccola fetta di realtà, è il luogo dove viviamo. La nostra esperienza del colore in realtà, la nostra esperienza di tutto è allo stesso tempo più e meno di ciò che il vero mondo davvero è.
Now what's happening when we experience color is that the brain is tracking an invariance, a regularity in how objects and surfaces reflect light. It's making a best guess, a top-down, inside-out prediction, about the causes of the relevant sensory signals, and the content of that prediction -- that's what we experience as red. Does this mean that red is in the brain, rather than the world? Well, no. The experience of redness requires both the world and a brain, unless you're dreaming, but let's not worry about that for now. Nothing in the brain is actually red. Cézanne, the great impressionist painter, once said that color is where the brain and the universe meet.
Ciò che succede quando vediamo un colore è che la mente sta rilevando un invariante, una regolarità in come gli oggetti e le superfici riflettono la luce. Fa una congettura, una previsione dall’alto e verso l’esterno, riguardo le cause dei segnali sensoriali rilevanti, e il contenuto di quella previsione è ciò che sperimentiamo come rosso. Questo significa che il rosso è nel cervello, anzichè nel mondo? Beh, no. L’esperienza del rosso richiede sia il mondo che un cervello, a meno che stiate sognando, ma non preoccupiamoci di ciò per ora. Niente nel cervello è realmente rosso. Cézanne, il grande pittore impressionista, una volta disse che il colore è all’intersezione tra cervello e universo.
Now the upshot of all this is that perceptual experience is what I've come to call, drawing on the words of others, a “controlled hallucination.” Now this is a tricky term, prone to misunderstandings, so let me be clear. What I mean is that the brain is continuously generating predictions about the causes of sensory signals, whether these come from the world or from the body, and the sensory signals themselves serve as prediction errors, reporting a difference between what the brain expects and what it gets, so that the predictions can be continuously updated. Perception isn't a process of reading out sensory signals in a bottom-up or outside-in direction. It's always an active construction, an inside-out, top-down neuronal fantasy that is yoked to reality in a never-ending dance of prediction and prediction error. Now I call this process controlled hallucination to emphasize just this point. All of our experiences are active constructions arising from within, and there's a continuity here, between normal perception and what we typically call hallucination, where, for example, people might see or hear things that others don't. But in normal perception, the control is just as important as the hallucination. Our perceptual experiences are not arbitrary. The mind doesn't make up reality. While experienced colors need a mind to exist, physical things, like the coffee cup itself, exist in the world whether we're perceiving them or not -- it’s the way in which these things appear in our conscious experience that is always a construction, always a creative act of brain-based best guessing.
Il risultato di tutto ciò è che l’esperienza percettiva, ciò che ho deciso di chiamare disegnare sui mondi di altri, un’“allucinazione controllata”. Questo è un termine complicato, incline a fraintendimenti, quindi lo chiarirò. Ciò che intendo è che la mente genera continuamente previsioni sulle cause dei segnali sensoriali, sia che vengano dal mondo che dal corpo, e i segnali stessi servono come previsioni di errore, segnalando una differenza tra ciò che la mente si aspetta e ciò che ottiene, così che le previsioni possano essere continuamente aggiornate. La percezione non è un processo di codificare segnali sensoriali dall’esterno verso l’interno. È sempre una costruzione attiva, una fantasia neuronale dall’alto e verso l’esterno, assoggettata alla realtà in una danza infinita di previsioni ed errori nelle previsioni. Io chiamo questo processo allucinazione controllata per enfatizzare questo preciso punto. Tutte le nostre esperienze sono costruzioni attive che nascono da dentro, e c’è qui una continuità, tra la normale percezione e ciò che di solito chiamiamo allucinazione, dove, per esempio, persone potrebbero vedere o sentire cose oscure ad altri. Ma nella normale percezione, il controllo è tanto importante quanto l’allucinazione. Le nostre esperienze percettive non sono arbitrarie. La mente non si inventa la realtà. Mentre colori già sperimentati hanno bisogno di una mente per esistere, cose fisiche, come la stessa tazza di caffè, esistono nel mondo sia che le percepiamo sia che no. È il modo in cui queste cose appaiono nella nostra esperienza cosciente a essere sempre una costruzione, sempre un atto creativo di congetture basate sulla mente.
And because we all have different brains, we will each inhabit our own distinctive, personalized inner universe.
E dato che abbiamo tutti menti diverse, ciascuno di noi abiterà il nostro unico, personalizzato universo interiore.
Now I've digressed quite far from where we began, so let me end by returning to the self, to the experience of being you, or being me. They key idea here is that the experience of being a self, being any self, is also a controlled hallucination, but of a very special kind. Instead of being about the external world, experiences of selfhood are fundamentally about regulating and controlling the body. And what’s important here is that the experiences of being a self are composed of many different parts that normally hang together in a unified way, but which can come apart in, for instance, psychological or neurological disorders, There are experiences of being a continuous person over time, with a name and a set of memories shaped by our social and cultural environments. There are experiences of free will, of intending to do something, or of being the cause of things that happen. There are experiences of perceiving the world from a particular perspective, a first-person point of view. And then, there are deeply embodied experiences, for instance of identifying with an object in the world that is my body. These hands, they're my hands. And then, of emotion and mood. And at the deepest-lying, most basal levels, experiences of simply being a living body, of being alive. Now my contention is that all these aspects of being a self are all perceptual predictions of various kinds. And the most basic aspect of being any self is that part of perception which serves to regulate the interior of the body to keep you alive.
Ora ho divagato anche troppo dagli inizi, quindi fammi finire tornando all’individuo all’esperienza di essere te, o essere me. L’idea chiave qui è che l’esperienza di essere un sé, di essere qualsiasi sé, è anch’essa un’allucinazione controllata, ma di un tipo veramente speciale. Invece di riguardare il mondo esterno, le esperienze di sé sono fondamentalmente basate sul regolare e gestire il corpo. E la cosa importante qui è che le esperienze di sé sono composte da molte parti diverse che normalmente stanno insieme in maniera unificata ma che possono separarsi in, per esempo, malattie psicologiche o neurologiche. Ci sono esperienze dell’essere una persona continua nel tempo, con un nome e un insieme di ricordi formati dai nostri ambienti sociali e culturali. Ci sono esperienze di libero arbitrio, di voler fare qualcosa, o di essere la causa di cose che succedono. Ci sono esperienze di percepire il mondo da una prospettiva particolare, un punto di vista in prima persona. E poi, ci sono esperienze profondamente corporee, per esempio identificarsi con un oggetto nel mondo che è il mio corpo. Queste mani, sono le mie mani. E poi, di emozioni e umore. E ai livelli più soggiacenti, primitivi, esperienze di essere semplicemente un corpo vivente, di essere vivi. La mia tesi è che tutti questi aspetti dell’essere un individuo sono tutte predizioni percettive di vari tipi. E l’aspetto più basilare dell’essere qualunque individuo è quella parte della percezione che serve a regolare l’interno del corpo così da mantenerti vivo.
And when you pull on this thread, many things follow. Everything that arises in consciousness is a perceptual prediction, and all of our conscious experiences, whether of the self or of the world, are all deeply rooted in our nature, as living machines. We experience the world around us and ourselves within it, with, through and because of our living bodies.
E quando insisti su questo terreno, molti risultati arrivano. Tutto ciò che sorge nella coscienza è una predizione percettiva, e tutte le nostre esperienze coscienti, che siano di sé o del mondo, sono tutte profondamente radicate nella nostra natura, di macchine viventi. Sperimentiamo il mondo intorno a noi e noi stessi al suo interno, con, attraverso e grazie ai nostri corpi viventi.
So who are you, really? Think of yourself as being like the color red. You exist, but you might not be what you think you are.
Quindi alla fine, chi sei tu? Pensa a te stesso come qualcosa di simile al colore rosso. Tu esisti, ma potresti non essere ciò che pensi.
Thank you.
Grazie.
David Biello: A stand-in for the audience. Anil Seth: David is clapping.
David Biello: controfigura del pubblico Anil Seth: David sta applaudendo.
(Laughter)
(Risate)
AS: That makes me feel better. DB: It was great. Thank you for that.
AS: Mi fa stare meglio. DB: È stato forte. Grazie per questo.
I have to say that the thought of my brain floating around in a bony prison is a disturbing one. But how do all those billions and trillions of neurons give rise to this experience of consciousness, in your view?
Devo dire che il pensiero della mia mente che galleggia in una prigione ossea è disturbante. Ma come fanno migliaia di miliardi di neuroni a dare origine a questa esperienza della coscienza, secondo te?
AS: First, I mean, consciousness is experience, so I'd use the two terms synonymously there. It's the same thing. And by the way, the idea of your brain wobbling around in its bony vault of a skull is presumably less disturbing than it doing something else and doing something outside of the skull. (Laughter) That would be the more worrying situation. But the question, of course, this is the big question. You start off with a simple question, "How does it all happen?" And this is why there is a long way to go here.
AS: Intanto, voglio dire, coscienza è esperienza quindi userei i due termini come sinonimi. Sono la stessa cosa. E in ogni caso, l’idea della tua mente che oscilla nel suo caveau ossuto chiamato cranio dovrebbe essere meno disturbante dell’idea che faccia altro che faccia qualcosa fuori dal cranio. (Risate) Quella sarebbe la situazione più preoccupante. Ma la domanda, ovviamente, questa è la grande domanda. Inizi con una semplice domanda, “Come può tutto questo succedere?” Ed è il motivo per cui c’è molta strada da fare qui.
And there are, I think, two ways to approach this mystery. So the fundamental question here is ... What is it about a physical mechanism, in this case, a neurobiological mechanism, 86 billion neurons and trillions of connections, that can generate any conscious experience? Put that way, it seems extremely hard, because conscious experiences seem to be the kinds of things that cannot be explained in terms of mechanisms, however complicated those mechanisms might be. This is the intuition that David Chalmers famously called "the hard problem." But my approach, as hinted at in this talk, is that we can characterize different properties of consciousness -- what a perceptual experience is like, what an experience of self is like, what the difference between sleep and wakefulness is like. And in each of those cases, we can tell a story about how neural mechanisms explain those properties.
E ci sono, penso, due modi per approcciare questo mistero. Quindi la domanda fondamentale qui è... Cosa ha di speciale un meccanismo fisico, in questo caso, un meccanismo neurobiologico, 86 miliardi di neuroni e triliardi di connessioni, che può generare qualsiasi esperienza cosciente? Messa così, sembra estremamente difficile, perché le esperienze coscienti sembrano essere il tipo di cose inspiegabili in termini di meccanismi, per quanto complicati questi meccanismi possano essere. Questa è l’intuizione che David Chalmers notoriamente chiamò “il duro problema” Ma il mio approccio, come ho accennato in questo talk, è che possiamo caratterizzare diverse proprietà della coscienza - cos’è un’esperienza percettiva, cos’è un’esperienza di sé stessi, cos’è la differenza fra sonno e veglia. E in tutti questi casi, abbiamo una storia riguardo come i meccanismi neurali spiegano queste proprietà.
In the part of the story we've touched on today, it's all about predictive processing, so the idea is that the brain really does encode within it a sort of predictive generative model of the causes of signals from the world, and it's the content of those predictions that constitutes our perceptual experience. And as we sort of develop and test explanations like this, the intuition is that this hard problem of how and why neurons, or whatever it is, in the brain, can generate a conscious experience, won't be solved directly -- it will be dissolved. It will gradually fade away and eventually vanish in a puff of metaphysical smoke.
Nella parte di storia che abbiamo toccato oggi, tutto riguarda l’elaborazione predittiva. L’idea è che la mente davvero codifica al suo interno una sorta di modello generativo predittivo delle cause dei segnali ricevuti dal mondo ed è il contenuto di queste previsioni che costituisce la nostra esperienza percettiva. E con noi che in sostanza sviluppiamo e testiamo spiegazioni come questa, l’intuizione è che questo duro problema di come e perché i neuroni, o qualunque cosa siano, nella mente, generano un’esperienza cosciente, non sarà risolto direttamente - sarà dissolto. Scomparirà gradualmente fino a svanire in una nuvola di fumo metafisico.
DB: Katarina wants to talk about anesthesia, that experience of having your consciousness kind of turned off. What do we know about this ability to switch a person off, in a matter of seconds? What is actually happening there, do you think?
DB: Katarina vuole parlare dell’anestesia, quell’esperienza di, praticamente, spegnere la tua coscienza. Cosa sappiamo riguardo questa abilità di spegnere una persona in pochi secondi? Cosa sta davvero succedendo lì, secondo te?
AS: Firstly, I think it's one of the best inventions of humanity, ever. The ability to turn people into objects and then back again into people -- I wouldn't want to live at a time in history without it. Whenever we have this, like, "Wouldn't it be nice to live in Greek antiquity or something, when people swum around, philosophizing, drinking wine?" Yes, but what about anesthesia? (Laughs) That's my response. It does work, this is a fantastic thing. How? Here's an enormous opportunity for consciousness science, because we know what anesthetics do at a very local level. We know how they act on different molecules and receptors in the brain. And of course, we know what ultimately happens, which is that people get knocked out. And by the way, it's not like going to sleep. Under general anesthesia, you're really not there. It's an oblivion comparable with the oblivion before birth or after death. So the real question is, "What is happening?" How is the local action of anesthetics affect global brain dynamics so as to explain this disappearance of consciousness? And to cut a long story very short, what seems to be happening is that the different parts of the brain become functionally disconnected from each other, and by that I mean, they speak to each other less. The brain is still active, but communication between brain areas becomes disrupted in specific ways. and there’s still a lot we need to learn about the precise ways in which this disconnection happens -- what are the signatures of the loss of consciousness? There are many different kinds of anesthetic, but whichever variety of anesthetic you take, when it works, this is what you see.
AS: In primo luogo, penso che sia una delle migliori invenzioni umane di sempre. La capacità di trasformare le persone in oggetti e poi di nuovo in persone - io non vorrei vivere in un periodo in cui ciò non è possibile. Ogni volta che senti dire: “Non sarebbe bello vivere tipo nell’antichità greca, con le persone che nuotavano, filosofeggiando e bevendo vino?” Sì, ma l’anestesia? (Ride) Questa è la mia risposta. Funziona, è una cosa fantastica. Come? Questa è un’enorme opportunità per la scienza della coscienza, perché sappiamo ciò che gli anaestetici fanno a un livello puramente locale. Sappiamo come agiscono su differenti molecole e recettori nel cervello. E ovviamente, sappiamo quello che alla fine succede, ovvero che le persone vengono messe KO. E in ogni caso, non è tipo andare a letto. Sotto anestesia generale, sei davvero non lì. È un oblio paragonabile all’oblio prima della nascita o dopo la morte. Quindi la vera domanda è, “cosa sta succedendo?” Come può l’azione locale dell’anestesia influenzare dinamiche mentali globali così da spiegare la scomparsa della conoscenza? E per tagliare corto su una storia lunga, quello che sembra succeda è che parti diverse del cervello diventano funzionalmente sconnesse una dall’altra, e con questo intendo, parlano tra loro di meno. La mente è ancora attiva, ma la comunicazione tra aree del cervello si interrompe in modi specifici. E c’è ancora molto che dobbiamo imparare su come precisamente questa disconnessione ha luogo - quali sono i capisaldi della perdita di conoscenza? Ci sono molti diversi tipi di anestetici, ma qualunque varietà assumi, quando funziona, questo è ciò che vedi.
DB: I think some folks such as Jasmine and more anonymous folks are troubled by this idea that what I call red might be a different color for you and for everyone else. Is there a way of knowing if we're all hallucinating reality in a similar way or not?
DB: penso che alcuni ragazzi come Jasmine e persone più anonime siano in crisi per questa idea che quello che chiamo rosso potrebbe essere un colore diverso per te e per chiunque altro. C’è un modo di sapere se la realtà è un’allucinazione simile per tutti o no?
AS: Again, this is a lovely topic, and it really gets to the heart of how I've been thinking about perception, because one of the aspects of perception that I think is easy to overlook is that the contents of perception seem real, right? The redness of this coffee cup, it seems to be a mind-independent, really existing property of the external world. Now, certain aspects of this coffee cup are mind-independent. Its solidity is mind-independent. If I throw it at you, David, across the Atlantic, and you don't see it coming, it will hit you in the head, it will hurt. That doesn't depend on you seeing it, but the redness does depend on a mind. And to the extent that things depend on a mind, they're going to be different for each of us. Now, they may not be that different. In philosophy, there's this argument of the inverted spectrum, so if I see red, is that the same as you seeing green or blue, let's say? And we might never know. I don't have that much truck with that particular thought experiment. Like many thought experiments, it pushes things a little bit too far. I think the reality is that we see things like colors, maybe we see them similar, but not exactly the same, and we probably overestimate the degree of similarity between our perceptual worlds, because they're all filtered through language. I mean, I just used the word “red,” and there are many shades of red; painters would say, "What red?" I remember when I was decorating my house, it's like, "I want to paint the walls white." How many shades of white are there? This is too many. And they have weird names, which doesn't help. We will overestimate the similarity of our universe. And I think it's a really interesting question, how much they do indeed diverge.
AS: Questo è, ripeto, un argomento stupendo, e arriva proprio al cuore di come ho pensato alla percezione, perché uno degli aspetti della percezione che penso sia facile trascurare è che i contenuti della percezione sembrano reali, giusto? La rossezza di questa tazza di caffè, sembra essere una proprietà indipendente dalla mente, che davvero esiste nel mondo esterno. Ora, alcuni aspetti di questa tazza sono indipendenti dalla mente. La sua solidità è indipendente dalla mente. Se la tiro a te, David, attraverso l’Atlantico e te non la vedi arrivare, ti colpirà in testa, farà male. Questo non dipende da te che la vedi, ma quanto è rossa dipende dalla mente. E nella misura in cui le cose dipendono da una mente, vanno a essere diverse per ciascuno di noi. Ora, potrebbero non essere così diverse. In filosofia, c’è questa teoria dello spettro invertito, quindi se vedo rosso, è lo stesso che vedere verde o blu, diciamo? E potremmo non saperlo mai. Non sono molto in sintonia con quel particolare esperimento mentale. Come molti esperimenti mentali, porta le cose un po’ troppo in là. Penso che la realtà sia che vediamo cose come i colori, forse li vediamo simili, ma non esattamente allo stesso modo, e probabilmente sovrastimiamo il livello di somiglianza tra i nostri mondi percettivi, perché sono tutti filtrati attraverso il linguaggio. Tipo, ho appena detto “rosso”, e ci sono molte sfumature di rosso; i pittori direbbero, “quale rosso?” Ricordo quando stavo decorando casa, è come dire, “Voglio dipingere i muri di bianco”. Quante sfumature di bianco esistono? Troppe. E hanno nomi strani, fatto che non aiuta. Sovrastimeremo la somiglianza del nostro universo. E penso sia una questione veramente interessante, quanto in effetti divergono.
You will probably remember this famous dress, this photo of a dress half the world saw as blue and black, and the other half saw as white and gold.
Probabilmente ricorderai questo vestito famoso, questa foto di un vestito che mezzo mondo vedeva come blu e nero, e l’altra metà vedeva come bianco e oro.
AS: You're a white and gold person? DB: Yeah, yeah.
AS: Te sei per bianco e oro? DB: Sì, sì.
AS: I'm a blue and black person. I was right, the real dress is actually blue and black. (Laughter)
AS: Io sono per blu e nero. Avevo ragione, il vero vestito è davvero blu e nero. (Risate)
AS: Never mind ...
AS: Lasciamo stare...
DB: We could argue about that.
DB: Potremmo discuterne.
AS: We couldn't. It really is blue and black. I talked to the dress designer. The actual one is blue and black. There's no argument there. But the thing that made that so weird is that it's not that we vaguely see it as one color or the other, we really see that blueness and blackness or whiteness and goldness as really existing in the world. And that was an interesting lever into a recognition of how different our perceptual universes might be. And in fact, a study we're doing at Sussex over the next year or two, we're trying to characterize the amount of perceptual diversity that is just there to be discovered. We're usually only aware of it at the extremes, people call things like neurodiversity, where people have experiences that are so different, they manifest in different behaviors. But I think there's this, sort of, big dark matter of individual diversity in perception that we know very little about, but it's there.
AS: Non potremmo. È davvero blu e nero. Ho parlato al disegnatore del vestito. Quello vero è blu e nero. Non è in discussione come fatto. Ma la cosa che lo ha reso così strano è che non lo vediamo vagamente come un colore o l’altro, vediamo davvero l’essere blu e nero o bianco e oro come realmente esistenti nel mondo. E questa è una leva interessante verso un riconoscere quanto differenti i nostri universi percettivi possono essere. Difatti, uno studio che faremo nel Sussex nel prossimo anno o due, proveremo a caratterizzare la quantità di diversità percettiva che è lì pronta per essere scoperta. Di solito ne siamo consapevoli solo agli estremi, con definizioni come neurodiversità, in cui le persone hanno esperienze così diverse da manifestarsi in diversi comportamenti. Ma io credo in questa sorta di grande materia oscura di diversità individuale nella percezione di cui sappiamo ben poco, ma è lì.
DB: I'm glad we could put to rest a major internet debate and come down firmly on the blue and black side of things. Daniella wants to know, "Could you explain how memory is involved in this perception of a self?"
DB: sono felice che abbiamo potuto chiudere un grande dibattito di internet e stabilirci fermamente nel lato blu e nero delle cose. Daniela vuole sapere, “Potresti spiegare come la memoria è coinvolta in questa percezione di sé?”
AS: Just as there are many different aspects of selfhood, there are many different kinds of memory, too. I think colloquially, in everyday language, when we talk about memory, we often talk about autobiographical memory or episodic memory, like "What did I have for breakfast?" "When did I last go for a walk?" These kinds of things. "When did I last have the pleasure of talking to David?" These are the memories of things that pertain to me as a continuous individual over time. That's one way in which memory plays into self, and that part of memory can go away, and self remains -- back to the earlier point. There's a famous case I talk about in the book, of a guy called Clive Wearing, who had a brain disease, an encephalopathy, which basically obliterated his ability to lay down new autobiographical memories. He lost his hippocampus, which is a brain region very important for this function. His wife described it as him living in a permanent present tense, of between seven to 30 seconds. And then, everything was new. It's very, very difficult to put yourself in the shoes of somebody like that. But other aspects of his self remained.
AS: Così come ci sono molti aspetti diversi dell’individualità, ci sono anche molti diversi tipi di memoria. Penso che colloquialmente, nella lingua comune, quando parliamo di memoria, spesso parliamo di memoria autobiografica o episodica, tipo: “Cosa ho mangiato a colazione?” “Quando sono andato l’ultima volta a camminare?” Questo tipo di cose. “Quando ho avuto per l’ultima volta il piacere di parlare a David?” Questi sono i ricordi di cose che appartentono a me in quanto individuo esistente continuamente nel tempo. Questo è un modo in cui la memoria si volge all’individuo, e quella parte della memoria può sparire, e l’individuo rimane, come dicevamo prima. C’è un caso famoso di cui parlo nel libro, di un ragazzo chiamato Clive Wearing, che aveva una malattia mentale, un’encefalopatia, che di fatto annullava la sua capacità di stabilire nuovi ricordi individuali. Perse il suo ippocampo, che è una regione della mente molto importante per questa funzione. Sua moglie lo descrisse come un vivere in uno stato di continuo presente, tra 7 e 30 secondi. E poi, tutto diventava nuovo. È davvero, davvero difficile metterti nei panni di una persona simile. Ma altri aspetti di sé rimasero.
But then, there are all sorts of other aspects of memory that probably also play into what it is to be you or to be me. We have semantic memory. We just know things, like we know what the capital of France is, who the president is, I hope so, I don't know. Sometimes, that's a good thing. Sometimes, that's not a good thing. And all of these things that get encoded in memory shape our self too. And then finally, there's perceptual memory. It's not that experience is like a video recording that we can replay, but everything we experience changes the way we perceive things in the future, and the way we perceive things is also, in my view, part of what it is to be a self.
Ma poi, c’è tutta una serie di altri aspetti della memoria che probabilmente definiscono cosa significa essere te o essere me. Abbiamo memoria semantica. Sappiamo cose, tipo sappiamo qual è la capitale della Francia, chi è il presidente, almeno spero, non so. A volte, è una buona cosa. A volte, non lo è. E tutte queste cose che vengono codificate nella memoria danno anche forma a ciò che siamo. E in ultimo luogo, c’è la memoria percettiva. L’esperienza non è come una registrazione video che possiamo ripetere, ma tutto ciò che sperimentiamo cambia la nostra percezione delle cose in futuro, e come percepiamo le cose è anche, per come la vedo, qualcosa che caratterizza l’individuo.
Actually, I just want to say, one of the really interesting questions here, and one of the things we're working on -- Imagine a typical day. You go through your typical day, you're experiencing a continuous stream of inputs. Now you blink, of course, and so on, but more or less, there's this continuous stream of inputs. Yet when we remember a day, it's usually in chunks, these autobiographical chunks: "I did this, I did that, I did the other, this happened." So a really important question is, "How does this chunking process happen?" "How does the brain extract meaningful episodes from a relatively continuous flow of data?" And it's kind of disturbing, how little of any given day we remember. So it's a very selective process, and that's something that I think is going to be useful not only for basic neuroscience, but, for instance, in helping people with memory loss and impairments, because you could, for instance, have a camera, and then, you could predict what aspects of their day would constitute a memory, and that can be very, very useful for them and for their carers.
Di fatto, voglio solo dire, una delle domande davvero interessanti qui, e una delle cose a cui stiamo lavorando - immaginati una giornata tipo. Affronti la tua giornata tipo, sperimentando un flusso continuo di input. Ora sbatti le palpebre, ovvio, e così via, ma più o meno c’è questo flusso continuo di input. Però quando ricordiamo una giornata, di solito è in frammenti, frammenti autobiografici: “ho fatto questo, quello, quest’altro, è successo questo”. Quindi una domanda davvero importante è, “come avviene questo processo di spezzettamento?” “Come fa la mente a estrarre episodi importanti da un flusso di informazioni relativamente continuo?” Ed è anche un po’inquietante, quanto poco di ogni giornata ricordiamo. È un processo davvero selettivo, ed è qualcosa che penso sarà utile non solo alla neuroscienza di base, ma, per esempio, nell’aiutare persone con perdita di memoria e disabilità, perché potresti, volendo, avere una telecamera, e predire quali aspetti della loro giornata costituiranno un ricordo, e ciò può essere molto, molto importante per loro e per i loro tutori.
DB: The brain clearly has a good editor. You call us, people, "feeling machines" in your book. Care to expand on that?
DB: la mente ha chiaramente un buon redattore. Tu chiami a noi persone “macchine emotive” nel tuo libro. Potresti dirci di più?
AS: Yeah, that's right. Well, we're not cognitive computers, we are feeling machines. And I think this is true at the level of making decisions, but for me, it's really at the heart of how to understand life, mind and consciousness. And this, really, is the idea that -- In consciousness science, we tended to think things like vision -- Vision as being the royal road to understanding consciousness. Vision is easy to study, and we're very visual creatures. But fundamentally, brains evolved and develop and operate from moment to moment to keep the body alive, always in light of this deep physiological imperative to help the organism persist in remaining an organism, in remaining alive. And that fundamental role of brains, that's what, in my view, gave rise to any kind of perception. In order to regulate something, you need to be able to predict what happens to it. It's this whole apparatus of prediction and prediction error that undergirds all of our perceptual experiences, including the self, has its origin in this role that's tightly coupled to the physiology of the body. And that's why, I think, we're feeling machines, we're not just computers that happen to be implemented on meat machines.
AS: Sì, certo. Beh, non siamo computer cognitivi, siamo macchine emotive. E penso che sia veritiero al livello del prendere decisioni, ma per me, è davvero al centro di come capire vita, mente e coscienza. E questa, davvero, è l’idea che - nella scienza della coscienza, tendevamo a pensare a cose come la vista. La vista come la strada maestra per capire la conoscenza. La vista è facile da spiegare, e siamo creature molto visive. Ma fondamentalmente, le menti si sono evolute e si sviluppano e operano da un momento all’altro per tenere vivo il corpo, sempre alla luce di questo profondo imperativo fisiologico di aiutare l’organismo a persistere nel rimanere un organismo, nel rimanere vivo. E questo ruolo fondamentale del cervello, è ciò che, secondo me, ha dato vita a tutti i tipi di percezione. Per disciplinare qualcosa, devi riuscire a predire cosa succede a quella cosa. È questo intero apparato di previsioni ed errori di previsione a fare da base a tutta la nostra percezione, anche l’individuo ha la sua origine in questo ruolo strettamente connesso alla fisiologia del corpo. Motivo per cui, penso, siamo macchine emotive. Non siamo solo computer implementati per caso su macchine di carne.
DB: Thank you, Anil, for chatting with us today.
DB: Grazie, Anil, per aver parlato con noi oggi.
AS: Really enjoyed it.
AS: È stato davvero un piacere.
AS: Thanks a lot, David. DB: Thank you.
AS: Grazie mille, David. DB: Grazie.